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timothée quost | flatten the curve @ so what musica (it)

È spiazzante il modo in cui a volte la musica riesca a combinare universi distanti in un’unità coerente ed affascinante, come sappia veicolare all’interno di strutture complesse messaggi profondi scaturenti da forme poco elaborate. Un esempio valido di tale possibilità è offerto dal nuovo lavoro di Timothée Quost , compositore/trombettista francese incline all’improvvisazione e all’ibridazione di lessici differenti, autore di un interessante intreccio di documentazione sonora e scrittura strumentale.

L’intento da cui l’album prende le mosse è quello di dare spazio alle testimonianze di un numero di anziane residenti in una casa di riposo – intervistate dallo stesso musicista – incastonandole in una serie di partiture composte nel corso di un quinquennio e ora appositamente registrate con l’ausilio di un vero e proprio ensemble. Piccole perle di saggezza estratte da frasi semplici sfuggono così all’oblio spinte da cinque brani in cui avanguardia di inizio novecento e retaggi free jazz – emergenti soprattutto da alcuni passaggi dei fiati -si compenetrano generando itinerari accidentati e sensorialmente vividi. Musica concreta, rumorismo e ricerca timbrica sono gli elementi base di paesaggi enigmatici – permeati da echi scelsiani e ligetiani – costruiti con perizia e messi a contrasto con una miscela scarna di parole ed echi ambientali. Un ascolto certamente ostico ma ricco di suggestione che merita di essere approfondito.

timothée quost | flatten the curve @ blow up (it)

ECLETTICA COLTA

Timothée Quost 
Flatten the curve • CD/DL
Carton Records • 11t-54:47 

Un piccolo esercito di collaboratori - dalla tuba alla chitarra elettrica, dalle registrazioni sul campo al sax soprano – viene convocata a coadiuvare l'impegnativa opera del trombettista e compositore francese, volta a creare uno scambio simbiotico tra il racconto di anziane signore intervistate in un ospizio dell'Alta Saona e un intricato tessuto sonoro imbastito su quella che mezzo secolo fa si chiamava musica contemporanea. Suggestiva roba da conservatorio - coltissima, sull'asse Cage/Stockahausen /Berio – con qualche improvvisa sfumatura freejazzistica, concretismi, rumori assortiti; tecnicamente ineccepibile, musicalmente complessa e rifinita, con molte, molte parole. Chi capisce il francese se lo godrà di più, immagino.

Giuseppe Aiello

louis laurain | pulses, pipes, patterns @ radioaktiv (it)

Louis Laurain: no conventional sound

Trombettista e compositore, Louis Laurain vanta un curriculum di tutto rispettoavendo calcato i palchi di tutto il mondo a suon d’improvvisazione con la sua tromba e collaborando con nomi prestigiosi del calibro di Stephen O’Malley.

Pulses, Pipes, Patterns è il suo ultimo lavoro discograco pubblicato il 25 giugno 2021 da Carton Records / INSUB Records. Munito di tre trombe, laptop, un sistema di amplicazione fatto in casa e vari oggetti, il musicista francese trasforma il suono degli ottoni in rumore bianco, suoni vibranti e onde sinusoidali dando lustro al suo modo personale di suonare e pensare alla musica.

Nella prima traccia, Franzform, Laurain trasforma il suono degli ottoni in un effetto ritmico incessante ottenuto utilizzando una coppia di trombe usate come un PA stereo. Ne scaturisce una traccia dal suono metallico vibrante molto insolito e disturbante.

Segue Rhypnoptic costruita attraverso i ritorni e i feedback del mixer al ne di dare forma a un pattern poliritmico ipnotico e suggestivo. Il risultato è una composizione elettroacustica vivace che va ad analizzare il suono primordiale dando lustro alla parte più tribale del sound di Laurain. In Satellites For Nawel il compositore manipola il feedback dello strumento giocando con i toni e le distorsioni. Ne viene fuori una composizione basata su stridori e dissonanze per un usso narrativo dal lessico inusuale.

La title track è la somma degli elementi delle tracce precedenti che vanno a comporre una trama inquieta di musica concreta dall’atmosfera inquietante, rarefatta e carica di tensione.Pulses, Pipes, Patterns si chiude con la più imprevedibile delle cinque tracce: 90’s è una composizione fuori dagli schemi con la tromba che si trasforma in uno strumento a percussione. Il pattern ltrato nel mixer subisce un’alterazione del tono in modo da creare un drumming provvisorio.

Pulses, Pipes, Patterns è un lavoro che vede le trombe utilizzate in maniera non convenzionale per dar vita ad un album originale per un’esperienza d’ascolto unica nel suo genere.

rifo | betel @ radioaktiv (it)

L’esperienza iniziatica di Rifo

Torniamo a parlare su queste pagine del musicista Jean-François Riffaud già incontrato in occasione della recensione degli Abacaxi nei quali il francese è impegnato al basso. Con un passato dedicato a installazioni e performance artistiche, Riffaud calca da dieci anni i palchi di tutta europea con le sue band Syntax Error, Electric Vocuhila, Parquet e The World no alla nascita del suo progetto solista Rifo.

Il 25 giugno 2021 è uscito per Carton Records, Betel, Ep di cinque tracce con Jean- François Riffaud impegnato tramite l’uso di chitarra elettrica, nastro magnetico ed echo nella realizzazione del suo manifesto artistico che sintetizza il modo “plastico” di intendere l’atto musicale.

La chitarra cambia aspetto venendo ltrata o modulata come nel caso della prima traccia, la lunga suite Leaf, nella quale le ripetizioni diventano la parte ritmica del brano. Il grattato della chitarra si scompone formando due linee sonore differenti

di cui una va a formare un drone di fondo mentre l’altra linea contribuisce alla scultura sonora grazie ad un gioco di rimbalzi. Suoni metallici e atonali vanno a formare un tappeto sonoro impervio e cacofonico no alla coda nale che si tramuta in un crescendo di oscillazioni industriali.

In Nut il suono si dilata, viene allungato e ltrato al ne di farne diventare un tappeto sonoro dalla materia organica e gurativa. Un continuo incedere magmatico tra feedback e rumori di fondo si evolve in un vortice sintetico con un nale ossessivo e ipnotico.

Betel si conclude sulle note morbide di Smile, un uttuare leggero di una chitarra che risuona come un violino per una narrazione poetica e sognante che ben si differenzia dalle prime tracce.

Partendo dalla ripetizione Jean-François Riffaud realizza un’esperienza iniziatica a dir poco sorprendente:la metamorfosi della chitarra in Betel lascia a bocca aperta, un processo che la rende quasi irriconoscibile con il quale Rifo si spinge verso una ricerca sonora articolata e dall’ascolto non proprio immediato.

trojan panda | peau @ music map (it)

Tre chitarre, un basso e una batteria suonate da due sassofonisti, due pianisti e un fagottista. Cosa potrà andare storto? Il suono! Nati per scherzo, i Trojan Panda hanno sviluppato un approccio improvvisato basato sul reciproco ascolto ed inseguimento. L’album d’esordio “Peau”, appena uscito per Carton Records, mostra questa peculiarità, che a seconda delle direzioni di ciascun brano, dà esiti diversi. Coraggioso dare l’apertura a “Black Madonna”, praticamente un post punk improvvisato, che spesso e volentieri finisce nel noise, e dura 13 minuti. Se uno non è pronto, forse poi non se la sente di continuare. Invece “Mythomane” è più comprensibile: una chitarra inizia a ripetere un bicordo, la seconda intona una nota che non fa parte di quel bicordo, ma che indica una possibile variazione, e infatti la prima chitarra coglie il suggerimento e si allaccia all’accordo che ne esce. La terza chitarra poi indica un’altra strada armonica, e gli altri la seguono e così via, a indicarsi la direzione, come un fluido che si fa spazio tra le righe delle mattonelle. Quando parte, il basso sotto si mantiene stabile su una nota, dando staticità ai vari percorsi (e in un certo senso annullandoli), mentre la batteria commenta il tutto con una ritmica gentile. Si sente la provenienza accademica dei componenti, in quanto decidono di prendere la corale a quattro voci di Bach “Christus der uns selig macht”, e ogni strumento esegue una delle voci. Il risultato è parossistico, beffardo. “Sylvie coiffure” è un’altra improvvisazione su basso e batteria stabili. Giocano soprattutto con le ritmiche qui, fortemente contrastanti. Se l’ispirazione è l’acconciatura di questa Sylvie, deve avere una capigliatura d’avanguardia, con pesanti sforbiciate! “Karolientje in haar blootje” sono 39 secondi di andamento zoppo, tra accordi che si bloccano nel silenzio, mentre “Joie de vivre” dev’essere un titolo ironico, dato che la batteria è cadenzata, una chitarra tira pigramente le corde con la leva, una ribatte un accordo rivolto dando proprio la sensazione di “buttarlo là”, mentre la terza si agita ansiosa. Invece “Animal” tranquillizza, come in un finale rasserenante, dopo un’odissea di paure e dolori. Bisogna ascoltarlo tutto, questo disco, ed allora si uniscono i punti. (Gilberto Ongaro)

julien boudart | nome polycephale @ radio aktiv (it)

Attivo dagli anni Novanta, Julien Boudart, con alle spalle una lunga carriera passata tra free party, teatro e radio, mette in musica il mito di Nome Polycephale.

Basato su un racconto di Pindaro, Nome Polycephale / Ancient and ModernMyths vol. 1 in uscita il 9 aprile 2021 via Carton Records, racchiude in nove tracce di musica sperimentale l’uccisione di una gorgone, l’invenzione di uno strumento musicale, il potere dei suoni del serpente, lo stato di trance e la possessione, la pura distruzione.

Nome Polycephale è il risultato di un lavoro iniziato nel 2015 che vede protagonista il sintetizzatore modulare Serge con i diffusori non lineari. Ne scaturisce un lavoro di ricerca sonora tra musica concreta e ambient.

Un breve intro spalanca la strada a Gorgo. Una produzione carica di tensione pervasa da un sibilo elettronico, un riferimento ai serpenti che le gorgoni avevano al posto dei capelli. In sottofondo Boudart sviluppa un profondo drone checontribuisce a creare un’atmosfera sinistra. Sonorità lente e gelide trasmettono nell’ascoltatore un senso d’inquietudine mentre scorrono le sinusoidi a dente di sega.

Un paesaggio meno estremo del precedente, To the land of Hyperboreans è caratterizzato da uttuazioni cosmiche e granulose. Un processo in continuo divenire che rende la materia sonora estremamente vivida e pulsante. At the edgetowards the night è un marea in tempesta di sinusoidali che s’increspano, cambiano forma, per una traccia astratta dall’atmosfera rarefatta.

Di tutt’altro aspetto Perseus (spondeion): un loop ipnotico che nella sua staticità diventa ipnotico grazie ad un gioco timbrico ossessivo.
L’album si chiude con la catartica Song of libation, il rituale del vino ripreso attraverso un pattern ritmico ripetuto no a provocare una sensazione di rintontimento.

Nome Polycephale / Ancient and Modern Myths vol. 1 è un lavoro articolato che difcilmente sarà apprezzato da un vasto pubblico. Dal canto suo Boudart rappresenta il mito di Nome Polycephalecon una tavolozza di suoni così dettagliata da riuscire a coinvolgere n da subito con una narrazione avvincente.

julien boudart | nome polycephale @ exhimusic (it)

Julien Boudart (Serge Modular synthesizer, field recording, nonlinear speakers), has been performing and composing on electronic music instruments since the mid 90’s. He made his first musical experiments on crude diy circuits, a modded radioshack toy organ and a pair of cassette decks. He has been active in the parisian free party scene until the beginning of the 00’s. He then focused more on collaborations with acoustic performers, often in context of collective improvisation. The Korg MS20, which he has been playing since 1996, has long been his instrument of choice. Modular synths, particularly the Serge, have been taking an increasing role in its music since 2015. Aside his solo works, he is involved in a handful of regular bands, works for theater, radio and multimedia performances.

Nome Polycephale is the result of a work on the Serge Modular with nonlinear diffuseurs, started in 2015 at la Muse en Circuit, continued at Elektronmusikstudion. It is the first volume of an «ancient and modern myths» series.

Based on an ancient lost tune and on a myth told by Pindar, Nome Polycephaleis about: the murder of a gorgon. The invention of a musical instrument. The power of snake sounds. Trance and possession. Pure destruction. Civilizing gods and heroes fighting reptilian figures of chaos and being haunted by them. “Civilization” being essentially identical to its fantasized ennemies. All those things being clear to us again, living as we are in an age of global terror and devastation.

abacaxi | mainstream desire @ radio aktiv (it)

Un’ondata di suoni colorati firmati Abacaxi

Abacaxi è una qualità di ananas più dolce nella parte centrale, asciutto e amarognolo esternamente, morbido all’interno e duro all’esterno. Da questo frutto saporito prende il nome il trio parigino formato daJulien Desprez (chitarra), Max Andrzejewski (batteria / synth) e Jean François Riffaud (basso).

Gli Abacaxi ripropongono la consistenza del frutto brasiliano anche nella loro musica: un rock duro e spigoloso all’interno con influenze noise esternamente, per arrivare al nocciolo con un cuore di sound art ed elettronica.

La band francese ha pubblicato un nuovo album il 19 marzo 2021 tramite Carton Records in tutti i formati digitali. Mainstream Desire è formato da due lunghe strumentali per un totale di mezz’ora di musica intensa e colorata.

La title track si apre con una serie di feedback e rumori che introducono una scintillante chitarra funk. Un suono ossessivo e ruvido, che difficilmente stanca,

Seleziona una pagina a grazie all’uso dei campanacci e di suoni giocattolo usati per intervallare e vivacizzare la parte iniziale del brano. Bisogna arrivare a metà traccia prima di trovarsi al cospetto di un crescentee ronzante drone che i tre useranno per ottenere una coda monolitica e distorta.

Nei 20 minuti di Catfish c’è spazio per il rock polveroso, influenze stoner per la prima parte della suite che vede una chitarra ululante accompagnata da una solida sezione ritmica per una traccia che suona bella dritta. Un intermezzo noise fa da legame tra la prima e la seconda parte di Catfish: un loop infinito che sconfina nella sound art tra suoni atonali di chitarra e synthsquillanti, il tutto guidato dalla batteria che dà sfogo a cambi e timbri diversi con tanto di un momento dedicato all’assolo. Quando ritorna in gioco la chitarra il finale riprende la traccia precedente con un tappeto sonoro distorto e roboante.

Mai giudicare un disco dalla copertina, è vero, eppure Mainstream Desire è un album sincero e trasparente: l’artwork astratto e colorato rappresenta in pieno la musica degli Abacaxi, una musica d’impatto e dalle tante sfumature.

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gilles poizat | champignon flamme @ sentireascoltare (it)

Champignon Flamme è il nuovo album del francese Gilles Poizat, in uscita il 12 febbraio 2021 via Carton Records. L’ambito di pertinenza è un avant peculiare ma tutto sommato piuttosto razionale, in cui tromba e synth modulare si incontrano su un terreno comune, generando tappeti sintetici che reagiscono al suono dello strumento, in un dialogo costante e imprevedibile. C’è un che di liquido e notturno nella musica contenuta nell’album, un approccio minimale ma affascinante alla materia che lavora sui dettagli e le sfumature, ma anche sui silenzi.

gilles poizat | champignon flamme @ radioaktiv (it)

Gilles Poizat: when music and ecology go hand in hand

Champignon Flamme , released on February 12, 2021 by Carton Records , is the first solo album by French musician Gilles Poizat . The album is the story of pebbles drifting in the bottom of a stream. While the water flows continuously, the pebbles move very discontinuously affecting the ow of the water. The six tracks arise from the interaction of the trumpet with the modular synths: each instrumental has a different patch so that the sound of the trumpet modulated through analog synthesis generates sounds randomly. The result is a lively, unpredictable and improvised work.

The Galet dérivant opener is the perfect business card: while the trumpet improvises, its sound is filtered through 4 delays with variable parameters that generate an electronic synthesis used as a sound carpet on which the acoustic instrument rests. The ending is obtained by randomly intoning the delays which, repeated over time, create a strangely tuned organ choir. With Traversée de la table the sound of the trumpet is camouflaged by compact electronic bounces. Sinister streaks accompany the background polyrhythm and synthetic digressions in a riot of sound writing on the verge of free-jazz.

Cérémonie de la brume opens with a claustrophobic synthetic texture, a static sound texture that comes alive with the entrance of the trumpet. In the six minutes of the track we pass from the abstractness of the electronic synthesis to a mental sound that directly affects the psyche of the listener thanks to the combination of the warm sonorities of the trumpet and the low and dissonant sounds. Champignon Flamme is an ambitious and complex album. Six chapters that summarize the insights of Gilles Poizat, the result moves in the context of the dichotomy “cold / hot”, “human / mechanical”, as one would expect in a work in which the trumpet and the modular are equally protagonists. A successful connection.

gilles poizat | rev galen @ music won't save you (it)

Le poesie di un pastore protestante che diventano canzoni evocative; le sue storie legate al mondo contadino che ritrovano una surreale dimensione folk. Questo il contenuto degli otto brevi brani di un originale duo che omaggia anche nel nome il reverendo Galen E. Hershey, incidentalmente nonno di Catherine Hershey, cantante francese accompagna nell’operazione dal Gilles Poizat, che la supporta alla chitarra e alla tromba.
In poco più di venti minuti, il duo fa rivivere gli antichi testi poetici di Hershey sotto forma di declamazioni rapite che sanno di antico e di mistero, più spettrali di quanto non diano l’impressione di avvicinare a una qualche trascendenza. Mentre i primi due brani in scaletta sono costruiti soltanto sulle risonanze lunari di organici timbri chitarristici, il duo introduce via via nel proprio registro elementi e variazioni che lo indirizzano ora verso vellutate atmosfere jazzy (“Heart Lyric”), ora verso un folk (la ballata “Do You Hear”, con pregevole intreccio vocale con Poizat) e persino verso brusche dissonanze post-punk (il primo minuto di “Dilemma And Decision”).
A fare da filo conduttore dell’interessante operazione di Rev Galen restano comunque le eleganti interpretazioni della Heshey, capace di evocare le brume drone-folk di sparute note d’organo (“Lullaby”, “To Whisper”) e di rivestirsi di sognanti accenti acustici (nella delicata ballata “Dreams”)

Seb Brungilles poizat, italy